domenica, dicembre 10, 2006

un febbraio di natali

Oggi il cielo era azzurro, limpido, e invernale.

Avevo già scritto questo post. Poi l'ho salvato come bozza. O almeno, ho creduto di salvarlo, dato che non lo trovo da nessuna parte. Con la scusa dell'otto dicembre siamo stati qualche giorno a Canale, dove resteremo anche domani perché Silvia ha la prima visita ginecologica. Questa casa diventa ancora più disordinata, quando ci veniamo raramente. Ma ora c'è l'albero di Natale.
Sì, perché sta arrivando il Natale. Difficile non accorgersene, mettendo il becco fuori di casa, perché le leggi del consumo vogliono che Natale segua a ruota Halloween. Non che voglia polemizzare sull'assoluta commercialità e mancanza di spiritualità del Natale... anzi, a me il Natale piace abbastanza. Come per la maggior parte delle cose, ho con il Natale un rapporto affettivo. Per me il Natale significa perpetuare un rito familiare che funge da legame con l'infanzia. Natale è quindi riassaggiare i sapori della mia infanzia. Dopotutto, se sommassi tutti i Natali della mia vita, arriverei appena a ventotto giorni (ovvero, un febbraio di natali). Rispetto a una vita quasi trentennale, è un arco assai breve di tempo, perciò è logico che rimandi immediatamente all'infanzia: nella dimensione parallela dei natali, essa è il mese scorso. Perché questa magia funzioni, però, è necessario preservare la medesima combinazione di spazio, tempo, azioni.
Sarei ipocrita sia se dicessi di sentire l'aspetto religioso del Natale, sia se lo condannassi per i suoi aspetti sfacciatamente di consumo. L'unica idea che respingo di netto è l'illusione che a Natale si possa essere più buoni. Perché è fin troppo ovvio che sentiamo il bisogno di illuderci della nostra bontà spartendola tra di noi, per non ammettere che noi, che di tutti gli animali siamo i più parassiti, e che all'interno della nostra stessa specie rientriamo nella piccola percentuale che sfrutta tutto il resto, e che pure in questa stessa area viviamo in una condizione privilegiata, in qualunque romanzo saremmo i cattivi, e forse lo saremo sui libri di storia. Questo, ovviamente, se proprio vogliamo valutare la nostra esistenza sotto un profilo morale, se proprio vogliamo parlare di buoni e cattivi... cosa che tendenzialmente non faccio.
Qui il discorso inizia a farsi lungo e io devo lavorare. Volevo solo dire che, presa coscienza dell'impossibilità di essere sinceramente buoni (se la parola buono ha un senso), ed evitando così illusioni stucchevoli o eccessi offensivi, in ragione degli affetti legati a questa festa, riesco a goderne gli aspetti più belli.

Nessun commento:

Locations of visitors to this page