Negli ultimi giorni sono successe un po' di cose, per cui ho dovuto per forza assentarmi dal blog. Mi impegno, ma senza promettere nulla, di scrivere un resoconto di tutto quanto.
Intanto, però, parliamo di una cosa che è successa ieri. Ricordate questo post?
A dire le cose pubblicamente, prima o poi si finisce per essere messi alla prova. Non so se si trattasse della protagonista di quel post, anzi: a dire il vero credo proprio fosse semplicemente un coniglio del mio vicino di ciabot, e non una lepre... ma cavalchiamo l'aria che si respira in Italia da qualche tempo e facciamo un po' di tutta l'erba un fascio, e fingiamo quindi che fosse proprio lei, il mio acerrimo nemico.
Stavo andando a bagnare i piantini di cavoli e cavolfiori che avevo piantato la settimana scorsa nell'orto, quando ecco che, sul sentiero che divide i pomodori dalle melanzane (nonostante io li veda magnificamente insieme), ecco che incontro, a un metro da me, lei.
Ci guardiamo. Ci scrutiamo. Poi lei, come se niente fosse, invece di scappare mi si avvicina e si mette a leccare la punta dell'innaffiatoio bagnata d'acqua. Potevo forse guardarla con cipiglio severo? Ho tirato dritto e ho continuato il mio lavoro, mentre lei, senza curarsi di me, si mangiava l'altro mio nemico, ovvero le erbacce. Insomma, ognuno faceva il suo lavoro senza disturbare l'altro. Poi ho notato che mi mangiava anche qualche foglia dei fagiolini nuovi e delle melanzane nane. Una volta l'ho cacciata con dei gesti, un'altra ho tentato di allontanarla spingendola via con le mani (sì lo so, soprattutto ero troppo tentato di accarezzarla), ma lei era irremovibile e sfrontata. Infine le ho dato un'albicocca un po' marcia che tanto dovevo buttare, e si è rivelata una soluzione ideale per entrambi: lei si è messa a gustare il dolce frutto lasciando stare i fagiolini.
Mentre mi gongolavo tutto soddisfatto di questo incontro e della constatazione di aver magnanimamente saputo non abusare dell'occasione e del potere che il caso mi aveva riposto tra le mani, mi interrogavo sul da farsi, rispondendomi infine: "Al diavolo, per qualche fagiolino! Degli altri ne ho mangiati comunque un sacco e c'erano pure meno piante. E poi basta fagiolini, sono già pure stufo! Che male c'è se si mangia qualche foglia?", guardo in basso e mi accorgo di essere salito sull'unica pianta di peperoncini lunghi che avevo. Una povera pianta che era sopravvissuta con forza e coraggio, rialzandosi dal fango e dal cretto dopo quel rovinoso temporale. Stava mettendo qualche frutto. Chissà se l'ho stroncata definitivamente.
Non so se in tutto ciò è insita una lezione, e se c'è non l'ho capita.
Intanto, però, parliamo di una cosa che è successa ieri. Ricordate questo post?
A dire le cose pubblicamente, prima o poi si finisce per essere messi alla prova. Non so se si trattasse della protagonista di quel post, anzi: a dire il vero credo proprio fosse semplicemente un coniglio del mio vicino di ciabot, e non una lepre... ma cavalchiamo l'aria che si respira in Italia da qualche tempo e facciamo un po' di tutta l'erba un fascio, e fingiamo quindi che fosse proprio lei, il mio acerrimo nemico.
Stavo andando a bagnare i piantini di cavoli e cavolfiori che avevo piantato la settimana scorsa nell'orto, quando ecco che, sul sentiero che divide i pomodori dalle melanzane (nonostante io li veda magnificamente insieme), ecco che incontro, a un metro da me, lei.
Ci guardiamo. Ci scrutiamo. Poi lei, come se niente fosse, invece di scappare mi si avvicina e si mette a leccare la punta dell'innaffiatoio bagnata d'acqua. Potevo forse guardarla con cipiglio severo? Ho tirato dritto e ho continuato il mio lavoro, mentre lei, senza curarsi di me, si mangiava l'altro mio nemico, ovvero le erbacce. Insomma, ognuno faceva il suo lavoro senza disturbare l'altro. Poi ho notato che mi mangiava anche qualche foglia dei fagiolini nuovi e delle melanzane nane. Una volta l'ho cacciata con dei gesti, un'altra ho tentato di allontanarla spingendola via con le mani (sì lo so, soprattutto ero troppo tentato di accarezzarla), ma lei era irremovibile e sfrontata. Infine le ho dato un'albicocca un po' marcia che tanto dovevo buttare, e si è rivelata una soluzione ideale per entrambi: lei si è messa a gustare il dolce frutto lasciando stare i fagiolini.
Mentre mi gongolavo tutto soddisfatto di questo incontro e della constatazione di aver magnanimamente saputo non abusare dell'occasione e del potere che il caso mi aveva riposto tra le mani, mi interrogavo sul da farsi, rispondendomi infine: "Al diavolo, per qualche fagiolino! Degli altri ne ho mangiati comunque un sacco e c'erano pure meno piante. E poi basta fagiolini, sono già pure stufo! Che male c'è se si mangia qualche foglia?", guardo in basso e mi accorgo di essere salito sull'unica pianta di peperoncini lunghi che avevo. Una povera pianta che era sopravvissuta con forza e coraggio, rialzandosi dal fango e dal cretto dopo quel rovinoso temporale. Stava mettendo qualche frutto. Chissà se l'ho stroncata definitivamente.
Non so se in tutto ciò è insita una lezione, e se c'è non l'ho capita.