martedì, agosto 10, 2010

papà

Quella notte d'improvviso è iniziato a piovere, e noi con esso.

Da tempo ormai avevo deciso quali sarebbero stati i due argomenti che avrei trattato rispettivamente negli ultimi due post, quelli che avevo promesso di scrivere prima di chiudere questo blog. Avrei tanto voluto che l'ordine fosse stato inverso, ma il destino ha deciso diversamente.

Dedico dunque questo mio post al mio amato padre Bartolomeo, mancato, dopo un anno di malattia e tribolazioni, all'una e quaranta del mattino del 5 agosto 2010. Dopo una mattinata travagliata, nel primo pomeriggio del 4 si era finalmente assopito al fresco del mio ventaglio, e il suo volto aveva ritrovato quella stessa espressione di rinnovata giovinezza e serenità che egli ha mantenuto nella morte, avvenuta nel suo letto e alla presenza dei suoi cari, come voleva lui. La nostra ultima straziante conversazione si era tenuta circa una settimana prima, allorché mi chiese come avrei chiamato la mia nuova figlia, e mi confessò che avrebbe tanto voluto restare con noi ancora qualche anno. Posso solo immaginare quanto dev'essere stata penosa per lui l'idea di separarsi dai suoi adorati nipotini, ancora così piccoli.
L'ultimo libro che mio padre ha letto è stato Memorabili di Senofonte. L'ultimo CD che ha ascoltato conteneva le sinfonie No. 59, 49 e 58 di Franz Joseph Haydn. L'ultimo albero da frutto da lui piantato, un melo.
Non sapendo da che parte iniziare nell'affrontare un argomento che richiederebbe uno spazio ben maggiore, provo a scavare tra i sentimenti che ora si affollano dentro di me, mentre piano piano si posano le ceneri del caos generato inizialmente dal trauma. Il primo a emergere è naturalmente il senso di vuoto, la tangibilità del cratere che ora, per la prima volta dopo trentadue anni, si è creato nella mia esistenza. Guardo con apprensione e timore al futuro evirato della presenza di mio padre. Mi sento sperduto, di fronte all'interruzione dei suoi insegnamenti. E provo quasi un senso di ribrezzo, nei confronti di ciò che è rimasto, degli oggetti inutilizzati, delle cose senza padrone. Ogni oggetto emana una fosforescenza di rimandi e di ricordi, e mi domanda cosa ne faremo ora. Mi chiedo quanto tempo dovrà passare prima che tale incandescenza si raffreddi, e ogni cosa possa essere vista e utilizzata per ciò che è e rappresenta.
E' più difficile di quel che sembri, e tale difficoltà è accentuata dal fatto che mio padre era un uomo animato da mille interessi, da innumerevoli bizzarri "balìn" che fioccavano di anno in anno: la sua curiosità intellettuale spaziava dalla musica sinfonica alla letteratura classica, dalla filosofia alla religione, dalla fotografia all'astronomia, dall'agricoltura alla micologia, dal buon cibo alla degustazione dei vini, dai viaggi ad accenni di entomologia prematuramente interrotti. E poi ancora l'alpinismo, lo sci di fondo, il ciclismo, il tennis, il jogging, un rudimentale pattinaggio e soprattutto le passeggiate in campagna col suo amato san bernardo Moloch, che si faceva sempre tirare per poi precederlo verso la meta finale circa un anno fa. Per non parlare dei suoi bizzarri esperimenti nei campi della cucina e del bricolage, campi nei quali era assolutamente negato e che produssero disastrosi frutti difficilmente dimenticabili. Infine le collezioni di coltelli, di orologi a cipolla, gli alberi genealogici e la storia del territorio, la mania della catalogazione e dell'archiviazione, un passato da amministratore comunale e chissà cos'altro sto dimenticando ora. Tutte passioni coltivate talvolta con duratura costanza, talvolta con effimera superficialità, ma che hanno e continuano rilasciare miriadi di spore e tracce tangibili con le quali ora io e la mia famiglia dovremo confrontarci.
La mancanza non riguarda solo i suoi numerosi pregi di uomo rusticamente semplice eppure estremamente brillante, di medico professionale e competente, di intellettuale dalle mille risorse (pregi che gli hanno guadagnato stima e affetto da parte di molti colleghi e compaesani): la mancanza riguarda ugualmente, e forse più, i suoi altrettanto innumerevoli difetti, quelli che si manifestavano per lo più nella sfera privata e domestica. Tali difetti, che talvolta lo facevano apparire più simile a un Homer Simpson in carne ed ossa, oppure, a tratti, a una sorta di Alberto Sordi piemontese, gli conferivano un'aura di fragile umanità che era per me motivo di immenso amore, tenerezza e simpatia.
In questi giorni mi sono chiesto quale sarà la cosa che mi mancherà più di lui. Credo che sia il suo formidabile senso dell'umorismo, perché, a parte tutto, mio padre era una delle persone più divertenti che conoscessi. Adoravo le sue calcolate esagerazioni circa le proprie doti ("Il martello di Dio" si faceva chiamare quando giocava a tennis; "The Voice" quando cantava De André accompagnato da mia sorella al piano; quando faceva ciclismo, ci sfidava scherzosamente a tastare la durezza del suo polpaccio; ci narrava che da giovane, giocando a calcio, aveva preso col pallone una traversa con una potenza tale che la porta tremava ancora a decenni di distanza).
Mi terrò stretti tutti i pregi e i difetti che lui mi ha geneticamente o culturalmente trasmesso. Perché è la parte di lui che ancora vive in me e che, insieme a tutto ciò che ha avuto il tempo di insegnarmi nei trentadue anni della mia vita, io cercherò di trasmettere ai miei figli.
Nella disgrazia, mi ritengo fortunato di avere avuto l'opportunità di godermi mio padre per diversi mesi dopo la traumatica notizia di un anno fa, e di averlo potuto fare con la consapevolezza necessaria per non lasciarmi sfuggire tutte le occasioni di momenti importanti e felici. Abbiamo passato delle ore belle e istruttive in giardino, nell'orto, nel frutteto. Ricordo con piacere quella faticosa mattinata spesa nel quasi comico tentativo di estrarre un enorme sasso dal terreno per fare spazio a una pianta.
Ciao papà, ti ho voluto tanto bene, e ti ringrazio per tutto quello che ci hai dato. Eri così bello sul letto di morte, che è stato ancora più difficile lasciarti.

Ti saluto con un brano che, tanti anni fa, mi facesti ascoltare in salotto, dicendomi che musiche così tristi forse dovrebbero proibirle.

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