lunedì, giugno 15, 2009

hikaru

Post programmato... ditemi voi che tempo fa.

In ormai quasi tre anni di blog, ho scritto pochissimo a proposito del mio lavoro. Francamente nemmeno a voce ne parlo più di tanto, perché non so a quanti conoscenti e amici possa interessare (salvo gli appassionati di manga, ovviamente... e in definitiva non ne conosco poi molti). Per questa volta, però, farò uno strappo alla regola.
La settimana scorsa ho terminato una serie che avevo iniziato circa quattro anni fa, forse la serie a cui mi sono maggiormente affezionato nel corso degli anni. Non saprei dire se è il manga migliore che io abbia mai tradotto, ma di certo fa parte della rosa dei miei cinque preferiti ed è quello su cui è stato più bello lavorare.
Il nome di questo manga è Hikaru no go. L'autrice dei testi è Yumi Hotta, mentre i disegni sono di Takeshi Obata (famoso per aver disegnato l'assai più celebre Death Note).
Hikaru no go (letteralmente "Il go di Hikaru") è uno shonen manga tutto incentrato sul go, un antico gioco da tavolo, ed è sostanzialmente una storia di formazione che si svolge nell'arco di ventitré volumi, nel corso dei quali il protagonista cresce poco alla volta (all'inizio della storia frequenta la sesta elementare, mentre alla fine ha ormai quindici anni) e matura di conseguenza, esperienza dopo esperienza. Hikaru, questo è il suo nome, è un ragazzino vispo, impulsivo, non troppo studioso e senza peli sulla lingua... ovvero, almeno in apparenza, quanto di più lontano dal mondo del go, un gioco che necessita concentrazione, riflessione e dedizione. L'incontro tra due universi così distanti avviene grazie a Sai, lo spirito di un maestro di go dell'epoca Heian precedentemente incarnatosi in Shusaku Honinbo, giocatore realmente esistito vissuto in epoca Tokugawa. Dopo aver vissuto per oltre cento anni in un goban (la tavola su cui si gioca a go) che Hikaru trova nella soffitta di suo nonno, Sai si risveglia impossessandosi del ragazzo.
Le premesse forse non invogliano alla lettura: un gioco ai più sconosciuto e incomprensibile, un ragazzino per protagonista come in una valanga di altri manga giapponesi, un meccanismo, quello dell'apparizione del fantasma, all'apparenza un po' forzato.
E invece questo fumetto riserva delle sorprese.
Perché Hikaru no go è un manga bellissimo, capace di andare molto più in profondità di quanto si possa intravedere in superficie. Ciò è merito soprattutto delle capacità di scrittura dell'autrice, che riesce a tratteggiare con grazia unica i personaggi modellandoli poco a poco attraverso l'intreccio, il tutto con sublime scorrevolezza (e vi assicuro che per un traduttore è un'autentica gioia). Hotta mescola con maestria la vibrante tensione delle partite all'umorismo dei siparietti che si aprono tra Hikaru e Sai, entrambi personaggi adorabili ai quali ci si affeziona presto. Ma è soprattutto la capacità d'introspezione dell'autrice a fare la bellezza di questo manga, la sua abilità nel dirci cose sui personaggi, anche su personaggi minori o di contorno, senza dircelo o mostrarcelo. In particolare ho amato il modo in cui sono espressi i sentimenti delle persone che circondano Hikaru: quelli della madre, incredula della crescente passione del figlio per un gioco che lei non capisce, e poco considerata dal figlio, tutto preso dalla sua passione e ritratto in un periodo della vita, l'adolescenza, in cui lo spazio dedicato alle madri si riduce bruscamente; quelli di Akari, la compagna di classe e amica d'infanzia che evidentemente prova un sentimento per Hikaru che questi non riesce a vedere e comprendere, anche se tutto ciò non ci viene mai descritto, mostrato, espresso esplicitamente; quelli di tutti gli amici e compagni di gioco che Hikaru si lascia dietro, man mano che la sua abilità cresce; quelli di Sai, il cui ardente desiderio di giocare a go viene spesso frustrato dall'egoismo di Hikaru (e solo quando tale desiderio verrà appagato, il ragazzo si renderà conto di quanto Sai sia importante per lui). La bellezza del go e le migliori qualità del protagonista ci vengono così mostrate insieme all'altra faccia della medaglia, ovvero tutto ciò a cui si rinuncia, quando ci si dona con passione a qualcosa.
Il lettore può benissimo non capire nulla del gioco, per quanto l'intreccio si basi rigorosamente su di esso. Io stesso, dopo averne tradotto ventitré volumi, non ho ancora capito un granché del go, eppure mi sono emozionato tantissimo, leggendo e rileggendo questo manga. Il merito va anche ai disegni di Obata, che crescono in eleganza di pari passo con la crescita di Hikaru (tanto che il primo e l'ultimo numero sembrano quasi disegnati da due persone diverse). Insomma, veramente un fumetto ben fatto, capace di non scadere mai nel banale sia nello svolgimento dell'intreccio, sia nella sua raffigurazione, sia nella caratterizzazione dei personaggi, che ci appaiono perfettamente umani e plausibili. Sebbene gran parte dell'opera si basi sulla rivalità tra Hikaru e il coetaneo Akira, tale rivalità non prende mai le forme di uno scontato manicheismo, ma si trasforma con naturalezza in rispettosa amicizia col passare del tempo, com'è ovvio che sia per due ragazzi che si conoscono da anni e condividono una passione. Non è quindi una rivalità destinata ad approdare a un risultato, ma a creare un rapporto dinamico e duraturo che non si limita a trovare una soluzione nell'esito di una partita o di un torneo.
Insomma, più che un manga su un gioco da tavolo è un manga sulle persone, sulla vita, sulle relazioni, sulle scelte, sulla crescita. E di tutti questi aspetti, Hikaru no go riesce a cogliere un'universalità che lo fa andare molto oltre i cliché del manga per ragazzi.
Ve lo consiglio di cuore.

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