mercoledì, maggio 06, 2009

colori

Un sacco di passeri che sfrecciano nei cespugli.

Domenica scorsa siamo andati in montagna per trascorre una bella giornata tutta per noi, in famiglia. Favoriti dal bel tempo, abbiamo passeggiato con Pietro, lo abbiamo fatto giocare con le fontane, gli abbiamo fatto vedere qualche animale, siamo andati a mangiare fuori con lui e via dicendo. Tra le altre cose, abbiamo fatto un salto a Entracque, perché dovevamo passare in farmacia, e quella di Valdieri era chiusa. A parte una tappa veloce in una giornata di neve di una decina di anni fa, con gli amici, erano davvero molti anni che non andavo a Entracque, e ne avevo perciò un ricordo parecchio confuso. E dire che da piccolo ci andavo abbastanza spesso. Lì il mio prozio Dorino aveva un appartamento, e ogni tanto mi è capitato che i miei nonni mi ci accompagnassero, d'estate. L'appartamento di mio zio dava su una specie di cortile comune, e io giocavo lì con una vicina di casa, una bambina di nome Silvia (ma pensa un po'), che io, con autentico spirito di patata, chiamavo "Salvia". Credo di averla anche vista al funerale di mio zio, ma non ho avuto la certezza che fosse lei finché non ho chiesto a mia madrina. E comunque non avrei saputo cosa dirle. Ricordo poco altro di quel cortile, se non frammenti, vaghe impressioni: ricordo un cane che ululava quando risuonavano le campane, ricordo mio zio che faceva la grappa alla camomilla, forse un aliante giocattolo con le ali di polistirolo, comprato dal tabaccaio che vende un po' di tutto, a Valdieri.
A questo pensavo ieri mentre da Valdieri ci dirigevamo con la macchina verso Entracque, e mi chiedevo se sarei riuscito a ritrovare quella casa in cui non ero stato da anni. E pensare che qualche occasione c'era stata, negli ultimi tempi. Parcheggiando la Micra, scettico al pensiero di riuscire a trovare il posto, mi sono arrabbiato con la memoria. Perché le cose col tempo si dimenticano? mi chiedevo. Perché i momenti vissuti da piccoli, momenti così belli e speciali, finiscono triturati in un magma indistinto? Pensavo al fatto che Pietro non ricorderà nulla di questi (quasi) due anni passati con lui, e la cosa mi rodeva un po'.
Passeggino alla mano, ci siamo messi a cercare la farmacia. Io gettavo l'occhio in ogni cortile, in ogni via traversa, cercando indizi del passato, ma niente: quel paese più carino di quel che mi immaginassi non mi diceva un granché. Un ponte, un parco e un bar hanno acceso una flebile lucina in me, ma non sapevo nemmeno se si riferiva a quel periodo o a quando andavo a sciare con la mia famiglia.
Poi troviamo la farmacia. Silvia entra e io resto fuori con Pietro a farmi un giro. E in quel momento vedo un momento che raffigura un alpino... una scalinata... un portico... un muretto... e subito ho una specie di epifania. Avverto come un calore sgorgare dentro di me, entro nel portico, intravedo una via con in lontananza una statua della Madonna... non è quella, ma quella sotto... le case... i giardini... e all'improvviso so già cosa troverò al fondo di quella via.
Proprio non me l'aspettavo, e ho vissuto quel momento con una certa emozione. Appena Silvia ci ha raggiunti, siamo andati fino alla casa, e ho letto il nome sul campanello. I ricordi legati a quel posto sono rimasti indistinti come prima, ma entrandoci dentro si sono colorati come in un album per bambini. Erano ancora lì, aspettavano solo di essere sfogliati e riempiti.

1 commento:

alice ha detto...

Che bella cosa che ci hai raccontato.

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