lunedì, novembre 19, 2007

decameron

Guardo fuori dalla finestra e penso che oggi non metterò il naso fuori di casa, se possibile.

Mi piacciono i barattoli con il coperchio di latta da levare, come quello dell'orzo solubile, e quelli con la carta da strappare, come quello della nutella.

Qualche settimana fa ho parlato del ritorno di Luttazzi in TV, che ha portato su LA7 il suo nuovo varietà satirico: Decameron. Ho guardato con interesse le prime tre puntate e, se ora posso fare un bilancio, devo dire che mi sento un po' deluso. Spiacente, ma non riesco a farmi piacere un programma solo perché ne condivido le idee o l'indirizzo politico. Di tutto il programma, credo che si salvino i monologhi e qualcosina qua e là. E si salva la bella sigla di coda, scritta e cantata dallo stesso Luttazzi, che ha al suo attivo due album.
Però il resto... quelle scene che fan così tanto teatro in TV non mancano di spunti interessanti, certo, ma sembrano imbalsamate sullo schermo. E poi quegli intermezzi che sembrano voler essere politicamente scorretti a tutti i costi... ma il problema non è che possano scuotere o scandalizzare lo spettatore, semmai il contrario: al giorno d'oggi, dopo gli storici e illustri esempi dei Simpson e di South Park, e quelli meno illustri del successivo imbarbarimento del gusto in parte da essi stessi sdoganato, le volgarità e le scorrettezze a tavolino di Luttazzi non ci fanno nemmeno il solletico. E chi potrebbe rimanerne scosso probabilmente non guarda Decameron. Non è certo colpa di Luttazzi, ma resta il fatto che, guardando questi sketch, né ho riso, né mi sono sentito scosso... mi sono solo annoiato. Sorvoliamo sull'aria pesantemente kitsch del programma... Luttazzi non è certo uno sprovveduto, e sono sicuro che la sua sia una scelta ben consapevole... così come il senso di irritazione suscitato dall'alto tasso di autoreferenzialità dei suoi monologhi. Luttazzi vuole essere irritante come la realtà che smaschera, con le sue risate e applausi registrati (ai quali risponde come se si trattasse di un pubblico vero in uno studio desolatamente vuoto), con la sua volgarità e con il suo parlare sempre di sé. Sì, d'accordo... ma alla fine funziona veramente? Colpisce? Irrita? O forse lascia indifferenti e alla lunga stufa soltanto?
Forse il mio è un giudizio un po' severo, ma solo perché a me Luttazzi piaceva, e per certi versi ancora mi piace molto... però non so... ho avuto come l'impressione che sia caduto in ibernazione con l'editto bulgaro di Berlusconi, e che ora l'abbiamo scongelato nel microonde e poi riscaldato. Tutto questo ribadire continuamente cos'è la vera satira, ad esempio... d'accordo che ce n'è bisogno, in un paese in cui i significati delle parole vengono costantemente stravolti da politici e media, ma così risulta davvero didascalico e ne smorza il piacere.
A parte tutto, ci sono anche momenti molto liberatori: i monologhi sono comunque molto accesi, interessanti e non risparmiano niente e nessuno. Anche il messaggio video sulla missione militare in Afghanistan ripetuto ogni volta colpisce nel segno. E non mancano gli spunti divertenti, come alcune trovate surreali (ad esempio quella dei cani-formica) e le battute concise alla macchina da scrivere, le quali mi danno l'impressione che, alla fine dei conti, Luttazzi sia più godibile da leggere che non da vedere. Forse proprio per via del fatto che la sua comicità non è mai estemporanea, ma sempre fredda e studiata a tavolino... è comicità scritta, e per questo più adatta a essere letta.
Comunque ecco qui sotto la sigla di chiusura: Money for Dope. La canzone non è niente male, e anche il video è bello. Posti a conclusione del programma, gli conferiscono un tocco davvero funereo.





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